MAFIA E POLITICA. Parla il pentito Rizzuto: “Il boss Imbornone mi disse di votare per Cascio”
Poteva semplicemente avvalersi della facoltà di non rispondere. Oppure dire che di certe domande risponderà solo ai magistrati qualora dovessero chiamarlo magari per sentirlo come persona informata sui fatti. Poteva dire che “la mafia fa schifo”, come fece il suo “padrino” politico Totò Cuffaro. Invece lui, Totò Cascio, medico chirurgo di Lucca Sicula sposato a Ribera, catapultato all’Assemblea regionale siciliana anche come vice presidente della Commissione Revisione e attuazione dello Statuto della Regione si è rivolto minacciosamente con un insolito “non ti permettere più di fare domande del genere” al cronista Calogero Parlapiano di Rmk che gli aveva chiesto una replica alle affermazioni del pentito Calogero Rizzuto davanti ai magistrati: “Quanto alle elezioni posso solo dire che in occasione delle ultime elezioni regionali, Imbornone Salvatore mi disse di votare per Cascio”.
Affermazioni tutte da verificare che però hanno già evidentemente mandato su tutte le furie l’onorevole Cascio, compaesano proprio di quel Salvatore Imbornone che avrebbe indicato a Rizzuto, l’ex boss di Sambuca di Sicilia e vice capo del mandamento del Belice, di votare per Cascio. E allora la curiosità cresce. Anche se l’onorevole non risponde e “minaccia” o rimprovera in modo sgarbato il giornalista che gli fa una legittima e normalissima domanda qualche voce già circola. Chi è questo Salvatore Imbornone? Che ruolo avrebbe avuto all’interno di Cosa nostra? E’ uno scassapagliara o è uno che conta? Secondo le accuse per cui è stato arrestato nel luglio del 2008 nell’operazione “Scacco matto”, questo Imbornone sarebbe il capo del mandamento di Lucca Sicula e Ribera. Salvatore Imbornone, nella qualità di uomo d’onore della famiglia di Lucca Sicula, è finito in carcere per aver assunto il ruolo di capo del mandamento, coordinando le attività degli altri associati, organizzando e coordinando l’attività di estorsione e “messa a posto” delle attività produttive, ed inoltre gestendo in prima persona la latitanza di Giuseppe Falsone numero uno di Cosa nostra agrigentina tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia.
E’ possibile mai che questo presunto boss cercasse voti per Cascio dell’Udc? All’onorevole bastava dire di no, o che preferiva non rispondere alla domanda, oppure che eventualmente lui non ne sapeva nulla. Tutto poteva dire, ma non intimidire il cronista. Perché “le domande – come ha dichiarato il segretario dell’Assostampa agrigentina Nino Randisi esprimendo solidarietà al cronista intimidito – non se li sceglie a suo piacimento l’intervistato, il quale, sempre con cortesia e garbo, può limitarsi a rispondere oppure no, ma non può intimare il giornalista. E’ un atteggiamento che censuriamo – ha aggiunto Randisi – che la dice lunga sull’idea che si sono fatti alcuni politici nostrani che vorrebbero sempre e comunque interviste compiacenti e a ‘soffietto’”. Anche Franco Castaldo, consigliere regionale e componente della giunta esecutiva dell’Associazione siciliana della stampa si schiera con il collega Parlapiano ed afferma: “Siamo alle solite. Una domanda normale, quasi banale (mi meraviglia, semmai, perchè non è stata posta prima) provoca i fastidi di politici e potenti abituati alle interviste senza domande e gravide di sorrisi. L’episodio dimostra l’insofferenza di chi ha a che fare con un giornalismo paludato fatto di omissioni e silenzi”.
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