La storia degli ecomostri di Lido Rossello, dagli arresti alle demolizioni
Insieme agli ecomostri di Lido Rossello crolla la cultura del cemento selvaggio impastato con favoreggiamenti e impunità che ha devastato buona parte della costa agrigentina e trionfa la cultura della legalità e dell’ambiente. L’emblematica storia degli ecomostri di Lido Rossello, tra i simboli del saccheggio della costa siciliana, comincia nei primi anni ’90 quando, grazie a uno strumento urbanistico scaduto e in violazione del vincolo paesaggistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte si auto-rilasciano una serie di concessioni edilizie per costruirsi delle ville in riva al mare. Fu sbancata parte della costa di marna bianca che completava il tratto costiero della Scala dei Turchi e fu colato il cemento. Legambiente nel 1992, a lavori in corso, cominciò a protestare; la Procura della Repubblica di Agrigento diede il via alle indagini e bloccò i lavori. Titolare dell’inchiesta l’allora sostituto procuratore ad Agrigento Stefano Dambruoso, che oggi è tra i questori della Camera dei Deputati. Nel febbraio del 1994 scattarono gli arresti. Alla sbarra finirono l’intera giunta, la commissione edilizia e alcuni imprenditori processati e condannati in primo grado, poi assolti per prescrizione in Appello. Tra gli intestatari della concessione edilizia furono coinvolti,tra gli altri, l’allora assessore Angelo Incardona (co-intestatario, insieme ai suoi familiari Leonardo e Pietro Incardona, attuale consigliere comunale di maggioranza) e l’allora capo dell’ufficio tecnico Giuseppe Cottone. C’erano anche Francesco Giuseppe Fugallo (papà di Antonio, all’epoca consigliere comunale ed ex assessore dell’attuale giunta); Giovanni Faruggia, anche lui impegnato in politica e all’epoca membro della commissione edilizia e fratello dell’ex sindaco di Giuseppe Farruggia; e Calogero Cappello (che allora era assessore e nella passata legislatura fu nominato vice sindaco). Legambiente degli ecomostri di Lido Rossello ne ha fatto un cavallo di battaglia nelle campagne nazionali “Mare Mostrum” e “Abbatti l’abuso”. “La battaglia per salvare la Scala dei Turchi e Capo Rossello si è combattuta venti anni addietro, tra il ’92 e il ’93”, rivendica l’ambientalista agrigentino Giuseppe Arnone, che ricorda di aver “firmato una serie di esposti mandando in galera amministratori e speculatori”. La storia va avanti ormai da più di un ventennio quindi tra aule giudiziarie e denunce ambientaliste. Una serie di ricorsi amministrativi ne hanno ritardato la demolizione. Ad imprimere la svolta, il 30 ottobre 2012, sono il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e il sostituto Antonella Pandolfi con l’ingiunzione a demolire inviata al Comune di Realmonte obbligato a procedere come già aveva fatto qualche giorno prima per l’ecomostro della Scala dei Turchi. Così il 30 novembre 2012, l’amministrazione comunale, attraverso l’Utc, emette l’ordinanza di demolizione. Ne seguono nuovi ricorsi al Tar e al Cga che si rivelano inutili. Nelle prossime ore sono attese le ruspe. “Nessuno in ventiquattro anni – ha detto il Procuratore della Repubblica di Agrigento Renato Di Natale – si è preoccupato di capire perché gli ecomostri erano ancora al loro posto. Dopo che è stato abbattuto quello della Scala dei Turchi c’è stata una gara ad accaparrarsi meriti che nessuno ha se non il procuratore aggiunto Fonzo e il sostituto Pandolfi”.