Mafia, Cutrò: “Rinuncio a protezione testimone giustizia, Stato ci distrugge”
Fuori dal programma di protezione. E’ il gesto estremo, la richiesta di voler uscire dal programma di protezione contenuta in una lettera, inviata al ministero dell’Interno e al Servizio Centrale di protezione, dall’imprenditore siciliano Ignazio Cutro’, testimone di giustizia e presidente dell’Associazione nazionale che i testimoni di giustizia. “Lo Stato non e’ in grado di farci vivere tranquilli, di fornirci una protezione adeguata, di mettere in pratica quello che stabilisce la legge”, e’ il j’accuse di Cutro’. Nella missiva, Cutro’ chiede che la sua famiglia sia esonerata dal programma di protezione e ne spiega le ragioni: ”Preferiamo uscire da soli, lo Stato ci ha distrutto psicologicamente, piu’ della mafia. Il personale cambia continuamente e non e’ preparato, siano noi a dover fornire ai carabinieri le informazioni, indicare quali sono nel Paese le persone contigue alla mafia. Ma non ce la prendiamo con loro, non c’entrano nulla e per questo diciamo allo Stato: lasciateci morire soli, l’ho scritto al ministro Alfano, ‘Non sprechiamo inutilmente altre vite umane, oltre alle nostre'”. Cutro’ si domanda: ”Si vuole davvero combattere la criminalita’ organizzata o no? La risposta e’ no, basta vedere come sono maltrattati i testimoni di giustizia che hanno fatto una scelta che dovrebbe essere normale: denunciare. Lo Stato – accusa – ci tratta non come persone ma come una pratica, ci lascia senza un lavoro, senza sicurezza e dignita’. Abbiamo testimoniato, difeso lo Stato, senza che nessuno sia venuto a cercarci ed ora che si deve applicare un nostro diritto, il diritto a riavere la nostra vita, lo Stato dov’e’?”, conclude.
Di fronte alla richiesta-denuncia di Ignazio Cutro’, il figlio Giuseppe, racconta all’Adnkronos la sua vita ‘blindata’ e i disagi che vive un ragazzo di 23 anni “apparentemente uno studente come gli altri” ma solo “apparentemente” perche’ “a differenza dei miei coetanei sia per andare all’universita’ che per uscire vengo seguito dai Carabinieri che mi scortano. Un ragazzo di 23 anni con la scorta…e non e’ un politico? Sara’ raccomandato!”, pensano gli altri.
“Purtroppo – confessa -non e’ una cosa facile”. “Mio padre – racconta – ha permesso, grazie al suo aiuto e le sue testimonianze, di portare in carcere e fare condannare alcuni esponenti della criminalita’ organizzata locale”. “Purtroppo subisci per i crimini a danno dei tuoi cari e ti trovi li’, impotente a non poter fare null’altro per assisterli maggiormente. Perche’ quando la mafia, anche con mano invisibile, viene a bussare alla tua porta, non e’ che, visto che siamo quasi a Natale, ti porta doni. Ti porta mezzi incendiati, danneggiamenti ai cantieri, lettere anonime, cartucce dietro la porta, bottiglie incendiarie, lumini funebri e tanti altri strumenti di danneggiamento o intimidazione”. E “se tuo padre denuncia, e ti trovi in Sicilia, i tuoi amici scappano; le persone che ritenevi care, spariscono dalla sera alla mattina”. “Poi nel 2011 – spiega – e’ arrivata anche per noi la protezione, qualcosa e’ cambiato; sostanzialmente ti sposti con dei carabinieri armati”. Ma – denuncia Giuseppe – da tre anni a questa parte “mai e ribadisco mai, nessun rappresentante delle istituzioni mi ha chiamato per chiedere cosa accade ad un ragazzo con la scorta o quali possono essere gli interventi per migliorare questa forma di protezione”. “Qualcuno – chiede Giuseppe – provi a mettersi nei nostri panni, qualcuno inizi a vedere le cose con i nostri occhi o ci tenga semplicemente in considerazione, allora cambiera’ anche il suo modo di vedere le cose e forse comprendera’ lo stato di abbandono e disagio in cui viviamo. Nessuno vuole riconoscimenti o esigere la pieta’ – conclude – vogliamo solo essere gente normale per le scelte normali che abbiamo fatto senza essere ritenuti merce di scambio”. (Adnkronos)