18 Aprile 2024
Agrigento e ProvinciaCronaca

Mafia e droga nell’Agrigentino: ”Si spacciava in due discoteche”

I difensori degli indagati che sono finiti in carcere preparano già il ricorso al tribunale del riesame. Ma non sono ancora terminati – come riporta il Giornale di Sicilia oggi in edicola – gli interrogatori dell’operazione «Kerkent» che, all’alba di lunedì, ha fatto scattare 32 arresti nei confronti del clan ritenuto legato al boss Antonio Massimino che, secondo l’accusa, avrebbe rimesso in piedi la famiglia mafiosa di Agrigento servendosi dei suoi fedelissimi ai quali avrebbe affidato, in particolare, la gestione di un vasto traffico di droga.

Gli indagati, finiti in carcere, sono stati tutti interrogati. Fra difesa e scena muta (La Vardera ha confessato e ha ottenuto i domiciliari) ha colpito la presa di posizione del boss Antonio Massimino che, in occasione dell’interrogatorio per garanzia per rogatoria, davanti al gip di Agrigento Alessandra Vella, ha lasciato intendere che potrebbe confessare ma ha smentito con sdegno le accuse di violenza sessuale ai danni della moglie di un trentottenne più volte indagato per mafia che pare avere avviato un percorso da dichiarante e lo ha accusato. Martedì, sempre davanti al gip Vella, è il turno dell’interrogatorio di altri quattro indagati finiti ai domiciliari. Si tratta di Iacono Quarantino, Valentino Messina (fratello del boss Gerlandino), Miccichè e Luparello.

Dagli atti dell’inchiesta, come riporta il Gds, emerge soprattutto il vasto traffico di droga con cui il clan si finanziava. La droga, stracciando le regole di Cosa Nostra di una volta, sarebbe stata venduta al dettaglio ovunque, anche nelle discoteche. «Emerge da una conversazione ambientale – scrive il gip – che Vetrano e Tornabene all’interno della casa di contrada Zunica-Monserrato erano in possesso di sostanza stupefacente confezionata “a palline”, che si proponevano di spacciare quella stessa sera presso taluni locali notturni agrigentini (il “Noctis” o il “Lab”), dove programmavano di recarsi avendo cura di non «dare nell’occhio». Espressione, quest’ultima, che deve essere intesa come allusiva allo svolgimento di attività illecite da compiere con circospezione.