Mafia, Borrometi: ho paura di morire, ma raccontare è il mio dovere
“Se lo Stato non interviene sarà tutto perduto”. Così, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Paolo Borrometi, il giornalista da anni finito sotto il mirino della mafia ragusana. Un’analisi della vitalità di Cosa Nostra a Vittoria dove due bambini di 11 anni, Alessio e Simone, sono stati travolti da un suv con a bordo personaggi legati al clan locale.
“La mia spalla – racconta il cronista – è menomata per il 30%, solo l’anno scorso dovevo saltare in aria con un’autobomba, io l’ho vissuto sulla mia pelle quello che accade ogni giorno e per questo dico che se non si fa qualcosa tutto sarà perduto. Se un suv passa a 160 chilometri orari in una stradina così piccola vuol dire che questi delinquenti fanno quello che vogliono. Ci vuole forte la presenza dello Stato, con uomini, con mezzi, se necessario anche con l’esercito, e con la cultura. Altrimenti il rischio è che quando passerà questo coinvolgimento emotivo noi piangiamo l’ennesimo morto”.
Sulle minacce continue, le ultime ricevute nelle scorse ore dopo che il cronista ha denunciato la vicinanza dell’agenzia funebre che ha curato i funerali di Alessio a una delle persone a bordo del suv, Borrometi, dichiara: “Io vivo con la paura ogni giorno e ringrazio i ragazzi della mia scorta che mi danno il loro appoggio e la sicurezza in ogni istante della giornata. Un giornalista non può vedere alcune cose e non raccontarle. Io non mi chiedo mai se le mie inchieste porteranno a nuove minacce, il mio dovere è quello di raccontare e il diritto del cittadino è quello di sapere. Lo faccio con una paura matta, perché ho paura di morire. Ma è il mio mestiere”.