Mafia, blitz contro la Stidda di Gela: 110 arresti tra Sicilia e Lombardia
Blitz contro la Stidda, la mafia dei “ribelli” di Gela che negli anni Ottanta aveva mosso guerra a Cosa Nostra di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Dalla realtà rurale della Sicilia, tra Agrigento e Caltanissetta, l’organizzazione – che inizialmente era composta soprattutto da mafiosi “messi fuori confidenza”, cioè espulsi dalla mafia ufficiale – ha cambiato pelle. Il capo dei capi è ormai morto e che il monopolio dei Corleonesi è un lontano ricordo. E anche la Stidda, dopo aver fato pace con Cosa Nostra ufficiale, ha riguadagnato spazio. L’organizzazione comanda su Gela, uno dei centri più ricchi della provincia nissena, può contare su “500 leoni armati”, pronti a dare vita a una nuova guerra di mafia, e fa affari anche al Nord, soprattutto tra Piemonte e Lombardia, dove può contare su una rete di imprenditori e professionisti compiacenti.
Trenatcinque le persone arrestate nella notte a Gela nell’ambito di una imponente operazione coordinata dalla Dda di Caltanissetta. L’indagine, denominata “Stella Cadente”, ha avuto origine nel 2014 dopo il ritorno in libertà di Bruno Di Giacomo. Il boss, dopo aver scontato 20 anni di carcere, era subito tornato in attività. E lo stesso avevano fatto suo fratello Giovanni. Altri 15 fiancheggiatori dei boss siciliani sono stati fermati tra Brescia, Milano e Torino nell’ambito di un’operazione della Dda di Brescia avviata nel 2017 che ha portato all’arresto di 75 persone e a indagarne in tutto 200. Numeri imponenti per una rete molto ampia, ben collegata ai clan gelesi e specializzata nel commettere reati finanziari, tra cui la cessione di falsi crediti d’imposta. Gli accertamenti condotti con la collaborazione dalla Guardia di Finanza hanno portato a sequestri di beni per 35 milioni di euro. In Sicilia, invece, la Stidda capeggiata dai Di Giacomo, aveva imposto l’acquisto di prodotti per la ristorazione e alimentari a numerosi commercianti che erano costretti a comprare dai boss, talvolta a prezzi maggiorati o in quantità maggiori rispetto al necessario. In pochi avevano avuto il coraggio di ribellarsi. L’organizazzione allungava i suoi tentacoli anche sulle costruzioni, della ristrutturazione e compravendita immobiliare, dove la Stidda si era inserita attraverso società di comodo, intestate ad Alessandro Emanuele Pennata, costituite solo per “ripulire” il danaro proveniente dalle attività illecite.
Una figura chiave era quella di Vincenzo Di Maggio, autista e “portavoce” dei Di Giacomo che si occupava di riferire gli ordini del capo agli altri componenti del gruppo. Così facendo i fratelli Di Giacomo e lo storico stiddaro Filippo Scerra evitavano di incontrarsi, riducendo il rischio di essere scoperti. Sempre Di Maggio, faceva parte poi dell’ala”imprenditoriale” del clan, che amministrava diverse imprese e locali della zona, tra cui una discoteca molto nota. Di Maggio, insieme ad Alessandro Scilio e Gaetano Marino, si occupava anche del traffico di droga. In poco tempo, la Stidda ha intessuto rapporti con importanti piazze siciliane dello spaccio come quella di Palermo, Catania e Vittoria, dove sono stati individuati alcuni fornitori e corrieri, ma anche con piazze di spaccio torinesi. Al Nord, poi, alcuni mafiosi si erano trasformati in perfetti colletti bianchi e si erano specializzati nell’intermediazione finanziaria. Le aziende decotte e le cessioni dei crediti erano diventati un altro lucroso business che permetteva agli stiddari di riciclare i proventi illeciti. (LaPresse)