“Le indagini che proseguono nei covi di Matteo Messina Denaro confermano che è cambiato il rapporto di Cosa Nostra con i simboli della fede. Quando nel 2006 venne arrestato Bernardo Provenzano, nel suo rifugio furono trovati rosari di legno e una Bibbia sul comodino. Nella casa del capomafia arrestato lo scorso 16 gennaio dopo trent’anni di latitanza c’erano invece poster e magneti da frigorifero del Padrino. Se in passato la mafia ha cercato nella religione un mezzo di legittimazione, le dure prese di posizione della Chiesa negli ultimi anni rendono più difficile questa strumentalizzazione. “In quarant’anni è cambiato tutto”, conferma Nando Dalla Chiesa, docente di Sociologia della criminalità organizzata alla Statale di Milano, “e questo è avvenuto soprattutto grazie ad alcuni preti di frontiera che hanno fatto da battistrada nel percorso della Chiesa. Penso per esempio a don Francesco Stabile a Palermo, a padre Cosimo Scordato, e ovviamente a don Luigi Ciotti”. Intervistato sul numero del settimanale Credere in edicola da domani, il figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso nel 1982 a Palermo, spiega che Cosa Nostra “ha fatto quello che fanno tutti i poteri temporali, cioè cercare legittimazione nel potere spirituale. E benché si continui a dire che la mafia oggi è soltanto profitto, in realtà essa si considera ancora un potere alternativo allo Stato, con una sua sovranità e un suo diritto di giurisdizione”.
Secondo Nando Dalla Chiesa, “essendo stata spesso coinvolta nella logica degli schieramenti politici, in particolare durante la Guerra fredda, la Chiesa cattolica a volte si è adagiata su quegli schemi e spesso ha considerato la mafia come una non nemica e a volte addirittura un’alleata. Si è visto negli omaggi ai funerali di certi mafiosi o negli inchini delle processioni religiose davanti alle case dei boss. Questo è servito alla mafia per farsi considerare come qualcosa di normale dai cittadini”. Ma un cambio di passo è avvenuto nel 1993 quando papa Giovanni Paolo II si espresse duramente contro la mafia. “La prima importante frattura è stato quel suo discorso nella Valle dei Templi, quando esortò i mafiosi a pentirsi e fece capire che la Chiesa non avrebbe più assecondato questo rapporto. Di fronte a quelle parole la mafia non restò silente: poche settimane dopo esplosero due bombe davanti a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma. E due mesi dopo fu ucciso padre Pino Puglisi. Papa Francesco si è spinto il più avanti possibile, proclamando la scomunica dei mafiosi nella spianata di Sibari nel 2014”. Ma anche in passato singoli uomini di Chiesa avevano già parlato con coraggio. Nell’intervista a Credere, Dalla Chiesa ricorda l’omelia del cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo, ai funerali di suo padre. “Fece un discorso molto duro in cui parlò di ‘Sagunto espugnata dai nemici’. Anche per questo quando, come da tradizione, andò a celebrare la Messa della vigilia di Pasqua nel cortile del carcere dell’Ucciardone, trovò il vuoto davanti a sé: il gelo della mafia davanti a quella presa di posizione. Anche il futuro cardinal Martini disse parole importanti al funerale di mio padre a Milano”. A parere di Dalla Chiesa, il mondo della fede “ha aiutato moltissimo” la lotta alla mafia. “Ricordo per esempio l’importanza di monsignor Riboldi ad Acerra negli anni Ottanta”. E ha parole di stima anche per Libera e il suo fondatore, don Luigi Ciotti: “Sono convinto che Libera non sarebbe ciò che è oggi se a capo non ci fosse un prete, perché un prete riesce a dare un senso particolare e diverso a quello che fa, a unire fede civile e religiosa. Gli stessi familiari delle vittime vedono in don Ciotti qualcuno che assicura anche una giustizia superiore, nel nome di Dio. Non è solo una questione di religiosità individuale: quando è un uomo di fede a farsi leader, il suo impatto è maggiore”. (ANSA)