
“La busiata originale? Deve misurare 14 centimetri, rispettando la misura esatta della ‘busa’ che veniva utilizzata”. Non deve esserci margine di errore se si parla di busiata trapanese per Valerio Campo, il pastaio di Napola (Erice) che nel 2008 per primo iniziò a produrre la tipica e antica pasta a livello industriale il cui nome oggi è finito tra le voci del vocabolario Zingarelli dal 2026. Un riconoscimento per la gastronomia siciliana che, tra le sue prelibatezze, conta ora anche la pasta tirata a mano una volta con la ‘disa’ (la pianta Ampelodesmus mauritanicus) e oggi prodotta con mezzi meccanici.
Da sempre legate al pesto alla trapanese, le busiate sono finite sulle tavole di capi di Stato, piloti di Formula uno, imprenditori che contano grazie a chef divenuti ambasciatori della cucina povera nel mondo: “Ogni volta raccontiamo la storia di questa pasta – spiega Peppe Giuffrè, chef trapanese, oggi supervisor nel gruppo Mangia’s – da come la preparavano le nostre nonne con le “dise” a come si condisce con un ottimo pesto alla trapanese preparato dal vivo”. Giuffrè l’ha offerta a ben tre capi di Stato (Scalfaro, Ciampi e Napolitano) e la busiata ha conquistato il palato anche dei piloti di Formula uno, “con un pesto, però, molto più leggero di aglio e basilico”, ricorda. Oggi i vecchi attrezzi di lavoro per preparare la busiata sono finiti nell’armadio. Dalla ‘disa’ si è passati alla ‘busa’ (da cui trae origine il nome della pasta), i sottili tubi di metallo utilizzati per fare la maglia, lasciando ora spazio alla preparazione con i mezzi meccanici.
“Produciamo 10 quintali al giorno – spiega Valerio Campo dell’omonimo pastificio – e a chi viene in azienda raccontiamo la storia della ‘busiata’, compresi ai bambini che durante l’anno vengono al pastificio per conoscere e imparare”. Campo, dopo alcuni tentativi di produzione, 17 anni fa, riuscì a fare il formato esatto, essiccarlo, imbustarlo e a spedirlo in tutto il mondo. Lo scorso febbraio, la tipica pasta trapanese è finita anche alla Casa reale britannica. “Una pasta povera che, insieme al pesto alla trapanese, racconta la storia di un territorio e che oggi viene inserita nel vocabolario Zingarelli – spiega il mugnaio Filippo Drago dell’omonimo mulino a Castelvetrano – in alcuni casi, come Salemi, questa tipica pasta è diventata volano di turismo e incoming con la sagra che si organizza da decenni, facendola degustare anche col sugo di carne. Raccontare la Sicilia significa anche prendere per il palato e con la busiata il gioco è fatto”. (ANSA)