Mafia, la nuova mappa dei clan in provincia di Trapani: 4 mandamenti e 17 famiglie
“Cosa nostra trapanese è dotata di una struttura organizzativa omogenea alla mafia palermitana. “Identiche, risultano le modalità operative, medesimi i settori d’interesse, analogo l’ordinamento gerarchico. L’organizzazione continua ad essere strutturata secondo un modello verticistico, così da consentire, pur nella capillarità della sua articolazione e nella complessità del suo ordinamento, l’impostazione di strategie unitarie. Si conferma, pertanto, l’operatività di una struttura articolata in 4 mandamenti, che raggruppano complessivamente 17 famiglie, le quali esercitano la propria influenza su uno o più centri abitati della provincia. Uno status quo che evidentemente non può prescindere dal ruolo del latitante Matteo Messina Denaro, il quale, per quanto episodicamente emergano segnali di insofferenza rispetto alla sua minore aderenza al territorio, continua a mantenere un rilevante carisma sui suoi adepti”. E’ quanto si legge nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (prima metà del 2017), trasmessa alla Camera.
“Proprio nel semestre, la D.I.A. di Trapani ha inferto un duro colpo al patrimonio accumulato da uno dei personaggi ritenuti, da più apparati investigativi, tra i più vicini al noto boss, avendone curato e agevolato la latitanza e fungendo anche da collettore e ‘messaggero’ con il sodalizio criminale. Nei confronti di tale soggetto – elemento organico al locale mandamento e attualmente detenuto – è stata infatti eseguita, nel mese di aprile, la confisca di diversi immobili, un’azienda e disponibilità finanziarie varie, per un valore di oltre 3 milioni di euro. Nonostante questa incessante attività di contrasto è sulla figura del latitante che continua a reggersi un sostanziale equilibrio tra mandamenti e famiglie, con una apparente assenza di conflitti, fatta eccezione per circoscritti contrasti, interni alla famiglia di Marsala. Un’influenza del mandamento di Castelvetrano sulle dinamiche del territorio di cui si è avuta, nel semestre in same, l’ennesima conferma. Alla luce delle conclusioni dell’attività ispettiva sul Comune di Castelvetrano disposta, nel mese di marzo, ex art. 143 del D.Lgs.267/2000, dal Prefetto di Trapani, il Ministro dell’Interno ha proposto l’adozione del provvedimento di scioglimento di cui al menzionato art. 143, in considerazione degli accertati, univoci e rilevanti collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata. Tra le evidenze raccolte circa il condizionamento esercitato sull’Ente locale da cosa nostra, vale la pena di segnalare, in primo luogo, quelle richiamate dallo stesso Ministro ed emerse a seguito del sequestro patrimoniale eseguito nel mese di febbraio dalla D.I.A. di Trapani. L’attività di cui trattasi ha riguardato aziende, beni mobili e immobili per un valore complessivo di 5,2 milioni di euro, nella disponibilità di un consigliere comunale e di un suo stretto parente, indiziati di essere soggetti “vicini” al più volte citato latitante di Castelvetrano.
La proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno richiama, ancora, sia fatti che denunciano accordi nella fase preelettorale, sia circostanze connesse all’affidamento di appalti pubblici una volta vinte le elezioni. Nel primo caso, viene evidenziato che “lo stesso boss locale ha riferito che in vista delle consultazioni amministrative di maggio 2012 il candidato sindaco poi effettivamente eletto ed il sopra richiamato consigliere comunale si sono a lui rivolti per ottenere voti in favore del primo.” Nel secondo caso, e più precisamente “in ordine alle modalità con cui l’amministrazione ha proceduto all’assegnazione di lavori, servizi e forniture, gli accertamenti esperiti hanno posto in rilievo che in circa l’80% dei casi è stato fatto ricorso a procedure di affidamento diretto, alcune delle quali si sono concluse in favore di ditte controindicate. Una specifica attenzione è stata dedicata in sede ispettiva ai settori dell’urbanistica e dell’edilizia, in cui sono state rilevate gravi anomalie ed irregolarità e che – al pari dei lavori pubblici – costituiscono un tradizionale polo di attrazione per gli interessi economici delle organizzazioni criminali”. Da rilevare come, al pari di quanto segnalato per il Comune di Borgetto (PA), anche in questo caso l’affidamento diretto dei lavori sembra costituire l’escamotage più immediato per favorire le imprese mafiose, altrimenti escluse dalle normali procedure di assegnazione.
È evidente che le caratteristiche di cosa nostra trapanese, al pari di quella agrigentina, non divergono da quelle relative all’hinterland di Palermo, evidenziando medesimi settori d’interesse, modalità operative, struttura organizzativa e suddivisione del territorio. Nondimeno, si riscontrano analoghi momenti di difficoltà e simili criticità di turn-over, determinati dall’azione repressiva dello Stato. Ciò nonostante, e benché prediliga una politica di basso profilo e occultamento, la consorteria mafiosa della provincia in argomento “è tuttora vitale e lo è ancor più nella zona di Trapani”, continuando a manifestare dinamismo, operatività ed una certa potenzialità offensiva, non disgiunte da un controllo del territorio esercitato anche attraverso le estorsioni, gli atti intimidatori e i danneggiamenti a seguito di incendi. Quanto scoperto dalla D.I.A. di Trapani e dalla Polizia di Stato nell’ambito dell’operazione “Adelkam- Freezer” del mese di febbraio, testimonia proprio la pervicace azione criminale dell’organizzazione nella provincia, in questo caso nel mandamento di Alcamo. L’attività, che si è conclusa con l’arresto di sei soggetti, tra cui il capo della famiglia mafiosa di Alcamo, ha fatto emergere, tra l’altro, una serie di estorsioni a carico di imprenditori locali, nonché il tentativo di infiltrazione di cosa nostra nel libero svolgimento delle elezioni amministrative del posto, tenutesi nel mese di giugno del 2016. Significativa la circostanza che, i più importanti dialoghi sulle attività della famiglia, siano avvenuti all’interno della cella frigorifera di un negozio di ortofrutta di Alcamo. Dai dialoghi captati nel negozio – punto di incontro dei principali esponenti mafiosi del luogo – è stato possibile ricostruire gli affari illeciti della citata consorteria, le estorsioni praticate, l’assetto e le regole interne di cosa nostra trapanese.
Grazie, invece, alle risultanze investigative dell’operazione “Visir”, condotta il successivo mese di maggio dall’Arma dei Carabinieri, sono stati svelati ruoli e gerarchie all’interno del mandamento di Mazara del Vallo, in particolare della famiglia mafiosa di Marsala (caratterizzata anche da conflittualità interne tra i suoi affiliati), documentandone le relazioni con le altre famiglie trapanesi (in particolare quella di Salemi) e con i mandamenti di Alcamo e di San Giuseppe Jato. L’indagine ha portato all’arresto di 14 soggetti affiliati alla citata famiglia di Marsala ed a quella di Mazara del Vallo, i quali, oltre ad infiltrarsi negli appalti pubblici e privati del circondario di Marsala, ricorrevano a metodi intimidatori per estorcere denaro in favore degli associati. Forniva supporto economico, agli associati al mandamento di Mazara del Vallo, anche il soggetto colpito dal sequestro di beni per circa 150 mila euro, eseguito nel mese di gennaio, sempre dalla D.I.A. di Trapani. Benché nel periodo in esame non si siano registrate operazioni di polizia che abbiano visto il coinvolgimento diretto di cosa nostra, resta costante lo spaccio di sostanze stupefacenti. In ordine, infine, alla presenza sul territorio di organizzazioni criminali straniere, si segnala l’operazione “Scorpion Fish”, conclusa nel mese di giugno dalla Guardia di Finanza, con il fermo di 17 componenti di un gruppo criminale transnazionale, operante fra Firenze e Trapani, capeggiato da pregiudicati tunisini e con elementi italiani in posizione subordinata, dedito al contrabbando di tabacchi lavorati esteri e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, lungo le rotte marittime che collegano le coste del trapanese alla Tunisia”.