Mafia nell’Agrigentino, il boss Massimino nelle parole del gip: ”È totalmente ossessionato dalle armi”

All’inizio dello scorso febbraio venne arrestato, assieme al nipote ventiseienne Gerlando, perché trovato in possesso – durante un blitz dei carabinieri al Villaggio Mosè – di una semiautomatica, calibro 7,65, con matricola totalmente abrasa e caricatore, con sei cartucce, inserite; due «penne-pistola» calibro 6,35, circa 200 cartucce e un rilevatore di presenze. Durante l’inchiesta Kerkent, secondo quanto emerge dalle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Walter Turturici del tribunale di Palermo, Antonio Massimino – ritenuto il reggente della famiglia mafiosa di Agrigento-Villaseta viene definito nelle intercettazioni, da uno dei suoi principali collaboratori, come «un appassionato, un ossessionato di armi».

«Le articolate attività di indagine espletate hanno dimostrato con certezza la disponibilità di armi da parte dell’illecito sodalizio capeggiato da Antonio Massimino – scrive il giudice per le indagini preliminari come riporta il Giornale di Sicilia – . Ha assunto caratteri di massima offensività e, più in genere, di pericolosità per la sicurezza pubblica la disponibilità di armi da parte del gruppo criminale capeggiato da Antonio Massimino. Queste armi sono state funzionali – prosegue il Gip – al conseguimento degli obiettivi criminali, principali e secondari, dell’associazione, specie al fine di risolvere dissidi e commettere svariati delitti quali: danneggiamenti a seguito di incendio, commercio di sostanze stupefacenti, tentativi di estorsioni, intimidazioni ed altro. È emerso – prosegue il giudice per le indagini preliminari – in modo chiaro ed inequivocabile che l’associazione illecita monitorata ha riposto grande importanza nell’aspetto logistico dell’armamento, considerato strategico per il raggiungimento e il mantenimento di quel necessario vantaggio competitivo dell’impresa criminale».

Secondo l’accusa, Antonio Massimino avrebbe «predisposto strutture logistiche e incaricato alcuni suoi correi investendoli di compiti di sorveglianza, alterazione ed efficientamento delle armi. Ha inoltre calendarizzato delle vere e proprie esercitazioni di tiro a cura dei suoi complici, al fine evidente – scrive il Gip del tribunale di Palermo – di avere un gruppo criminale capace di esprimere una elevata potenza di fuoco». Secondo la Dia di Agrigento e la Dda di Palermo i principali coinvolti in tali dinamiche, tutti presunti «stretti collaboratori di Antonio Massimino, sono: Antonio Messina e il figlio Giuseppe i quali hanno messo a disposizione del loro gruppo criminale – prosegue l’accusa – una abitazione rurale nelle campagne di contrada Monserrato-Zunica, dove sono state occultate armi da sparo, dove inoltre è stata tagliata e confezionata la sostanza stupefacente e sono stati organizzati incontri per fini illeciti tra Antonio Massimino e altri soggetti».