27 Luglio 2024
Agrigento e ProvinciaCronaca

Il boss Leo Sutera, i duri contrasti coi riberesi e la scampata guerra di mafia

A Ribera avevano la testa dura. Lì, dove l’aria profuma di arance e olive, di gente che veniva da fuori, a farsi i propri affari, proprio non né volevano sentire. C’è una vicenda che ha coinvolto i boss di mezza Sicilia, con a capo Bernardo Provenzano, che venne scatenata dai Capizzi di Ribera. Uomo al centro sempre lui «u professuri», Leo Sutera. A sconquassare la quiete dei clan il «pizzo» che si voleva imporre ai punti vendita «Despar» di Giuseppe Grigoli. Praticamente era come imporre il pizzo al super boss Matteo Messina Denaro. La storia è raccontata oggi sul Giornale di Sicilia in un articolo di Gero Tedesco. Ma, loro, i Capizzi non si fermarono e misero in fibrillazione la Cupola mafiosa siciliana che cercava di farli ragionare per non scatenare una guerra sull’asse agrigentino-trapanese. L’indizio, su una conclusione della controversia più vicina alle posizioni dei trapanesi, proviene dalle dichiarazioni dal racalmutese Maurizio Di Gati. Il collaboratore di giustizia ha riferito, con cognizione diretta, delle fasi della vicenda e delle relative intercettazioni telefoniche. Infatti, con riferimento al periodo di sua reggenza – iniziato nel 2000 e confermatosi nella sua pienezza fino all’estate del 2002, e cioè fino all’arresto di tutti i suoi «grandi elettori», nell’ambito della riunione di Santa Margherita Belice che avrebbe sancito la sua nomina – ha riferito della volontà di Giuseppe Capizzi e di Giuseppe Falsone «Linhi linghi» di imporre il pizzo a Grigoli.

«Ho sentito parlare di un certo Grigoli (Giuseppe ndr) di Castelvetrano. Leo Sutera mi riferì che era il braccio destro di Messina Denaro. Possiede una catena enorme di supermercati in tutta la provincia di Trapani, con il sistema di fornire la merce ai supermercati e contratti con i gestori dei singoli punti vendita e pagamento della sola merce venduta a fine mese. So che Grigoli ha aperto un paio di magazzini a Canicattì e uno a Campobello di Licata. Ricordo anche che Falsone e Capizzi hanno provato a chiedere il pizzo per questi supermercati ma il Sutera si era opposto, siamo nel 2002, un mese prima dell’operazione Cupola. Sutera disse in proposito che non si potevano chiedere soldi a Matteo Messina Denaro, che era un suo amico e che tutti sapevano gestiva di fatto i supermercati. Alla fine si decise di non chiedere il pizzo a Grigoli, dopo un acceso contrasto tra me e Sutera da una parte e Falsone e Capizzi dall’altra. Dopo che io non sono più stato rappresentante provinciale, non so se Grigoli sia stato sottoposto a pizzo.Il pizzo era in denaro e non in assunzioni, il 2%».

Sul punto Di Gati è tornato successivamente in modo più dettagliato, soprattutto indicando il ruolo decisivo di Leo Sutera. Si ripete che la vicinanza di Sutera con Trapani e con Matteo Messina è comprovata dal contenuto dei pizzini riconducibili al Messina Denaro. Ecco cosa dice Di Gati: «Solamente nella riunione del 23 maggio 2002, di cui ho già parlato, appresi per la prima volta che i supermercati Despar erano di questo Grigoli che, sostanzialmente, altri non era che Matteo Messina Denaro stesso. La riunione del 2002 avvenne nella zona di Palma di Montechiaro. Era presente Vincenzo Gambino di Pagliarelli, e Vincenzo Di Maio entrambi di Palermo. C’era anche Totò Fileccia (come corregge in sede di verbalizzazione con Farinella) di S.Maria del Gesù e Domenico Virga. Calogero Di Caro, Diego Di Bella, Calogero Di Gioia, Leo Sutera, oltre a me ed altri erano presenti per Agrigento. Quando rimanemmo noi di Agrigento, Leo Sutera disse che Giuseppe Capizzi e Giuseppe Falsone avevano chiesto il pizzo a Grigoli, vale a dire su quella parte di guadagno che spettava al Grigoli quale titolare del marchio. Gli esercizi per cui si chiedeva il pizzo erano quello di Ribera, gestito da Capizzi e quello di Canicattì di Di Gioia, ma non posso escludere che ce ne fossero altri. Sutera pose quella questione per come gliela avevano posta a loro volta, il Capizzi ed il Falsone ma disse esplicitamente che chiedere il pizzo a Grigoli significava chiederlo a Matteo Messina Denaro tanto che esclamò: “e la mattina ci guardiamo allo specchio e ci sputiamo in faccia?”. Ciò disse alla presenza del Di Bella che sapeva essere vicino a Falsone. In realtà la regola dentro Cosa Nostra imponeva che un uomo d’onore pagasse il pizzo alla famiglia locale; in questo caso si trattava di una eccezione per la particolare caratura di Matteo Messina Denaro all’interno dell’associazione. Sutera si offrì di farmi conoscere Grigoli perché io scherzosamente dissi che lo volevo aprire pure a Racalmuto. Il Sutera disse che non c’erano problemi perché Grigoli e Messina Denaro erano la stessa cosa e Matteo era con noi. Di Bella fece avere poi la risposta di Falsone a Sutera. Falsone convenne che effettivamente non si doveva chiedere il pizzo a Grigoli per i motivi sopra esposti».

Ciò avvenne poco prima del luglio 2002. Pertanto dal luglio 2002, questa era la situazione: l’asse Capizzi-Falsone, in quel momento non dominante vuole imporre il pizzo , ma viene stoppata dal Maurizio Di Gati, allora reggente della provincia grazie al supporto decisivo proprio di Leo Sutera di Sambuca, uomo d’onore di elevato prestigio, nonché vicinissimo al Messina Denaro e al Grigoli. Dopo questa data, la situazione cambia repentinamente con Sutera arrestato e Di Gati in fase assolutamente calante a causa dell’arresto dei suoi sostenitori, la mancata formalizzazione della sua nomina e il mutato atteggiamento del vertice palermitano nelle persone di Provenzano e di Nino Rotolo. Da qui in poi sostanzialmente il duo Capizzi- Falsone ha campo libero nel muoversi contro Grigoli che a sua volta ha difficoltà di comunicazione con il suo mentore Messina Denaro ed è qui che i Capizzi, come braccio esecutore, nelle persone di Giuseppe e Carmelo impongono il pagamento di € 75.000. Di questa fase successiva Di Gati non ha cognizione diretta. Però il racalmutese apprende dalla viva voce di Gerlandino Messina dei contrasti con Grigoli e, a riscontro del contenuto dei «pizzini», anche del contrasto interno fra Capizzi e Falsone, dovuto alla vicenda Grigoli ed ad atteggiamenti e richieste «esorbitanti» di Giuseppe Capizzi, e della mediazione di Lillo Lombardozzi. All’esito di questo però apprende da Pasquale Alaimo (mafioso favarese a lui rimasto vicino e peraltro in contatto anche con Falsone), che Giuseppe Capizzi dovrebbe avere «messo la testa a posto». Anche qua, la «resa» del Capizzi sembra trovare riscontro negli ultimi pizzini.

«Nulla so di cosa accadde successivamente fino all’inizio del 2004 – dice DiGati – allorquando tra le altre cose Gerlandino Messina mi riferì che Capizzi pretendeva di avere l’esclusiva di tutti i supermercati Despar di Grigoli nella provincia di Agrigento. C’è stata una riunione a Ribera con Cesare Lombardozzi ( in nome di Falsone) all’inizio del 2005. A quel summit partecipò anche Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro per fare cambiare idea a Giuseppe Capizzi. So che in una altra riunione successiva la questione venne chiarita, ma non so i termini. Pasquale Alaimo ha saputo da Calogero Costanza che il Capizzi si è messo la testa a posto, su questa storia».